Informare sugli stipendi aiuta la selezione nella Sanità
Conoscere l’entità del primo stipendio può migliorare le performance dei candidati durante le prove di accesso ai corsi di laurea in Medicina e delle professioni sanitarie. Lo rivela una ricerca della Facoltà di Economia che ha esaminato i risultati ottenuti da candidati della provincia di Bolzano nel corso di tre anni.
La professione medica e tutte quelle sanitarie sono solitamente considerate “vocazionali”. Chi decide di intraprendere un percorso lavorativo nella Sanità solitamente lo fa perché spinto da motivazioni profonde, legate all’etica personale. Se questo assunto rimane generalmente vero per un lavoro di grande impegno e valore in cui si è responsabili delle vite dei pazienti, ora è dimostrato che la vocazione non è il solo fattore che può spingere i futuri medici, infermieri e figure dell’assistenza sanitaria a ottenere migliori prestazioni nelle prove di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso che caratterizzano le professioni sanitarie. Anche conoscere esattamente a quanto ammonta il primo stipendio può fornire un incentivo importante che consente di fare meglio negli esami di ammissione ai corsi di laurea.
Lo prova uno studio (che sarà presentato in estate a questo workshop) di una ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Juliana Bernhofer, e due professori della Facoltà di Economia dell’Università di Bolzano, Alessandro Fedele e Mirco Tonin. Dal 2018 al 2020 il team di ricerca ha somministrato questionari a 279 iscritti ai corsi che l’UPAD organizza a luglio di ogni anno con lo scopo di facilitare la preparazione ai test di accesso per i corsi di laurea in Medicina e nelle professioni sanitarie (radiologi, infermieri, fisioterapisti). L’obiettivo della raccolta dati era capire se e come la conoscenza esatta del primo stipendio modificasse i punteggi ottenuti durante i test. A tutti i partecipanti è stato chiesto di indicare le loro aspettative in termini di stipendio.
I candidati sono stati quindi suddivisi in due gruppi bilanciati e quindi comparabili: uno di trattamento cui, circa tre settimane prima dei test, è stata fornita via mail l’informazione esatta sullo stipendio e uno di controllo cui questa informazione non è stata fornita. Il risultato? Tra coloro che avevano sottovalutato lo stipendio – presenti in entrambi i gruppi – quanti hanno saputo l’effettivo ammontare del primo stipendio hanno ottenuto un punteggio medio significativamente superiore nei test di accesso e hanno quindi aumentato la loro probabilità di essere ammessi. L’effetto del trattamento su chi aveva sopravvalutato lo stipendio è invece risultato assente.
Basandosi sui dati raccolti, i tre economisti hanno inoltre tracciato un identikit di coloro che hanno sottovalutato. “In particolare, abbiamo visto che l’informazione sugli stipendi spinge la motivazione e l’impegno di persone di sesso maschile, mentre non ha alcun impatto, né positivo né negativo, su quelle di sesso femminile”, spiega Fedele. “Questo risultato è in linea con una consolidata evidenza sperimentale secondo cui le performance delle donne sono meno sensibili agli incentivi finanziari”, aggiunge Fedele. “Abbiamo infine verificato che il nostro trattamento non attira candidati meno altruisti, un potenziale timore giustificato dal fatto che l’informazione ha ad oggetto lo stipendio” conclude Fedele.
Le indicazioni che emergono dall’analisi sono importanti perché fanno capire che un accorgimento apparentemente banale come il dato relativo allo stipendio può produrre una sorpresa positiva e una motivazione addizionale che spinge a migliori performance dei candidati.
In un periodo storico in cui l’invecchiamento della popolazione e la pandemia stanno rendendo gravoso il problema della carenza di personale sanitario, la ricerca suggerisce una policy alle istituzioni pubbliche: informare i candidati circa l’entità degli stipendi nel settore sanitario incrementa il loro impegno per accedere agli studi, il che, a sua volta, può contribuire a formare professionisti di alta qualità.
Immagine: unsplash.com
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