Parafrasando Gaber: “Non ho paura del pregiudizio in sé, ho paura del pregiudizio in me”. Durante LUNA, un esperimento di Mirco Tonin, economista e docente unibz, ci aiuterà a capire i condizionamenti che ci portano a discriminare, spesso inconsapevolmente.

Quanti, tra i nostri lettori, sarebbero disposti ad ammettere di aver esercitato una discriminazione? Probabilmente, pochissimi o nessuno (almeno, ci piace sperarlo). Anche perché, molte volte nemmeno ce ne accorgiamo. Ma siamo sicuri di essere immuni dai pregiudizi? Durante la Lunga Notte della Ricerca un test, preparato da Mirco Tonin, docente della Facoltà di Economia, sfiderà le nostre certezze in materia di apertura e tolleranza. Tonin proporrà ai visitatori della manifestazione di valutare un curriculum vitae. A seconda delle risposte date, sarà possibile verificare se e quanto le preferenze siano influenzate, ad esempio, dall’origine straniera di un nome o dalla differenza di genere.

Studi dimostrano che lo stesso i-Pod sostenuto da una mano bianca sarà venduto a un prezzo maggiore di quello in una mano nera.

L’esperimento del professore di unibz si rifà a quello che ha già effettuato per lo svolgimento di uno studio i cui risultati sono stati raccolti e descritti nel paper intitolato Racial Discrimination in Local Public Services: A Field Experiment in the US. Presentata a fine luglio, alla prestigiosa conferenza annuale della NBER, la National Bureau of Economic Research, tenutasi a Cambridge, in Massachusetts, la ricerca di Tonin nasce da un suo spiccato interesse per il settore delle amministrazioni pubbliche.

“Indagare il settore pubblico è stimolante per ogni economista perché, anche in paesi orientati decisamente verso il mercato, come ad esempio gli Stati Uniti, la quantità di prodotto interno lordo veicolato dal settore pubblico - circa un terzo, suddiviso tra istruzione, sanità, esercito, trasferimenti sociali, giustizia – rimane comunque considerevole, facendone un settore fondamentale dell’economia”, afferma Tonin.

I paesi anglosassoni, dove Tonin ha lavorato come docente e ricercatore universitario prima di arrivare a Bolzano, riconoscono un grande valore alle politiche antidiscriminatorie. L’obiettivo è chiaro ed è generalmente condiviso ma la questione non è così semplice. Esiste una sorta di razzismo inconsapevole? Come si fa infatti a combattere la discriminazione strisciante, che fa sì che la pubblica amministrazione tratti in maniera differenziata persone appartenenti a gruppi etnici o linguistici diversi? Prendendo le mosse da queste domande, Tonin, assieme ai colleghi Corrado Giulietti e Michael Vlassopoulos, ha provato a misurare il fenomeno della discriminazione nel rapporto tra utente-cittadino ed ente pubblico.

Mirco Tonin, economista, docente della Facoltà di Economia e uno degli autori dello studio.

“La discriminazione su base di genere o razziale è molto diffusa sul mercato del lavoro o su quello dei beni di consumo”, aggiunge Tonin, “esistono infatti studi che hanno dimostrato come una persona che vende lo stesso i-Pod usato, identico per caratteristiche e condizioni, ottiene un prezzo più basso se nella immagine che ritrae il dispositivo è raffigurata una mano nera rispetto a una bianca”. La stessa cosa avviene nel mercato delle auto usate o nella giustizia, dove la pena ottenuta da un nero rispetto a un bianco sarà maggiore a parità di crimine. “Ciò purtroppo è vero anche cambiando di verso”, commenta Tonin. “Alcuni studi mostrano come un crimine perpetrato ai danni di una vittima nera otterrà una pena meno severa rispetto allo stesso crimine commesso nei confronti di una vittima bianca”.

I tre professori di economia hanno preso in esame servizi pubblici in cui il rapporto con le persone è molto importante, come le amministrazioni scolastiche, i centri per l’impiego, gli uffici degli sceriffi, le biblioteche, gli uffici dell’amministrazione finanziaria. Tonin ha analizzato le diverse reazioni dei dipendenti della pubblica amministrazione statunitense nei confronti delle email di cittadini a seconda della loro presunta appartenenza etnica, inferita dal nome fittizio utilizzato: Jack Mueller e Greg Walsh come nomi “bianchi”, DeShawn Jackson e Tyrone Washington come nomi tipici di afroamericani. Gli autori della ricerca hanno scritto a circa la metà del totale degli indirizzi email di servizi pubblici sparsi nei 50 stati degli USA.

Le richieste erano molto semplici, per non scoraggiare un’eventuale risposta da parte degli impiegati. Per esempio alle biblioteche hanno domandato quali documenti avrebbe dovuto presentare chi avesse voluto iscriversi. Agli uffici dei county clerks (le locali agenzie fiscali), è stato chiesto se il proprietario della casa che lo scrivente voleva comprare fosse in regola con il pagamento delle tasse. Oppure ai distretti scolastici è stato chiesto quali documenti servono per l’iscrizione a una scuola oppure se bisogna dimostrare di essersi sottoposti a particolari vaccinazioni. Altri enti pubblici interpellati sono stati i centri per l’impiego oppure gli uffici degli sceriffi.

Il tasso di risposta è stato abbastanza elevato: ha risposto circa il 70 per cento degli uffici. La percentuale è buona ma l’analisi di chi effettivamente ha ottenuto una risposta ha evidenziato considerevoli differenze di trattamento tra cittadini con nomi e cognomi da bianco e quelli con nomi da afroamericano: i primi hanno ricevuto una risposta nel 71 per cento dei casi mentre i secondi solo nel 67 per cento. Il divario maggiore è stato registrato nelle risposte date dagli sceriffi. Essi rispondono al 53 per cento delle mail dei “bianchi”, mentre i “neri” hanno ottenuto una risposta solo nel 46 per cento dei casi.

“La discriminazione esplicita da parte del settore pubblico è illegale”, chiarisce il docente, “ma con il nostro esperimento abbiamo voluto saggiare la discriminazione sottotraccia, che è doppiamente odiosa perché il settore pubblico dovrebbe promuovere la mancanza di pregiudizi e facilitare l’integrazione delle minoranze, come è successo in passato. Pensiamo ad esempio, al ruolo della scuola con l’inserimento di studenti afroamericani nelle scuole dei bianchi negli anni sessanta”. In sostanza, resta la certezza che, nonostante un apparato legislativo avanzato, tanta strada resti ancora da fare per combattere le discriminazioni.

“Rendersi conto che esiste una discriminazione silenziosa, prendere coscienza dell’esistenza di un problema, certamente aiuta”, conclude Tonin che, in attesa di svolgere questo genere di ricerca anche in Italia (o in Alto Adige), suggerisce due strade per superare queste situazioni: “Da un lato accentuando il lavoro di sensibilizzazione degli operatori, dall’altro inserendo elementi di maggiore diversità nel settore pubblico. Sono questi i due fronti su cui bisogna insistere per favorire l’integrazione delle minoranze e per combattere efficacemente queste forme sottili di discriminazione”.

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