Ricerca identifica i tre fattori principali che controllano il comportamento e le risposte degli ecosistemi terrestri
Un gruppo di ricercatori internazionali, guidato dal Max Planck Institute for Biogeochemistry (Jena, Germania) e comprendente Libera Università di Bolzano e Ripartizione Foreste della Provincia di Bolzano oltre a ARPA Valle d’Aosta, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Università degli Studi di Milano-Bicocca e Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, ha identificato tre funzioni chiave che governano il comportamento degli ecosistemi e che sono legate alla loro efficienza nell’utilizzo di carbonio e acqua. L’osservazione di queste tre funzioni chiave permetterà di monitorare e studiare il comportamento degli ecosistemi terrestri e di capire la loro sensibilità ai cambiamenti climatici e ambientali in atto, contribuendo all’ottimizzazione della loro gestione.
Gli ecosistemi terrestri svolgono diverse funzioni di rilevante importanza per le dinamiche naturali e forniscono servizi vitali per il benessere e lo sviluppo economico e sociale, quali la fotosintesi (assorbimento di CO2 e rilascio di ossigeno), la produzione di biomassa e di cibo e la regolazione del ciclo dell’acqua e del clima. I cambiamenti climatici e ambientali e l’impatto dell’azione dell’uomo minacciano continuamente queste funzioni ecosistemiche. Per capire come gli ecosistemi terrestri stanno rispondendo e risponderanno in futuro a queste minacce è fondamentale individuare quali siano le funzioni principali che regolano il loro complesso comportamento in modo da studiarne e monitorarne lo stato di salute, l’efficienza e poterne prevedere l’evoluzione nel tempo.
Un gruppo di ricercatori internazionali, guidato da Mirco Migliavacca del Max Planck Institute for Biogeochemistry, Jena (Germania) e comprendente studiosi della Libera Università e ella Ripartizione Foreste di Bolzano e degli istituti italiani di ARPA Valle d’Aosta, Istituto per la BioEconomia del CNR, , Università degli Studi di Milano-Bicocca e Università della Tuscia di Viterbo, ha cercato di rispondere a questa domanda, utilizzando dati ecologici ed ambientali ricavati da reti globali di stazioni di misura, combinate con osservazioni satellitari, modelli matematici, metodi statistici e di inferenza causale.
I risultati sono confluiti in una pubblicazione sulla rivista scientifica Nature: The three major axes of terrestrial ecosystem function. “Siamo stati in grado di identificare tre fattori chiave che riassumono il comportamento degli ecosistemi: la massima capacità di assimilare CO2 dall’atmosfera attraverso la fotosintesi, l’efficienza d’uso dell’acqua, e l’efficienza d’uso del carbonio per produrre biomassa”, afferma Migliavacca, primo autore della recente pubblicazione su Nature. “Usando solo questi tre fattori possiamo spiegare più del 70 per cento della variabilità delle funzioni ecosistemiche”, aggiunge.
In particolare, i ricercatori hanno analizzato lo scambio di anidride carbonica, vapore acqueo ed energia in 203 siti di monitoraggio distribuiti globalmente (di cui ben 16 in Italia) e che coprono una grande varietà di zone climatiche e tipi di vegetazione. Per ogni sito sono state misurate ed elaborate proprietà ecologiche dell’ecosistema, variabili climatiche e del ciclo dell’acqua, così come caratteristiche della vegetazione e dati di biomassa derivati da satellite.
L’analisi dei dati ed i modelli utilizzati hanno determinato che le tre funzioni chiave identificate sono a loro volta legate ad una serie di caratteristiche quali la struttura (altezza e biomassa), allo stato nutrizionale (azoto fogliare) ed il vigore della vegetazione, che sono proprietà che possono essere influenzate dai disturbi e regolate da una corretta gestione delle foreste. Allo stesso tempo, l’efficienza nell’uso dell’acqua e del carbonio dipende in modo critico anche dal clima e soprattutto dalla lunghezza e frequenza dei periodi di siccità. Questo mette ancora una volta in evidenza la rilevanza del cambiamento climatico in atto per il funzionamento degli ecosistemi negli anni a venire e la necessità di considerare il loro adattamento. E’ importante rimarcare che lo studio non sarebbe stato possibile senza l’esistenza di reti di monitoraggio globali –– che in Europa si sono organizzate in infrastrutture collaborative di ricerca come ICOS ed eLTER. Queste reti raccolgono dati preziosi che consentiranno anche di osservare gli effetti dei cambiamenti sui diversi tipi di vegetazione. L’Alto Adige contribuisce con una stazione di misura in bosco posta sull’Altopiano del Renon, gestita dal Servizio Foreste della Provincia.
Il team italiano è composto, oltre che da Leonardo Montagnani della Libera Università di Bolzano, anche da Edoardo Cremonese, Gianluca Filippa e Marta Galvagno dell’ARPA Valle d’Aosta, Giorgio Matteucci del CNR-IBE, Cinzia Panigada e Micol Rossini dell’Università di Milano Bicocca e Dario Papale dell’Università della Tuscia di Viterbo.
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