Se avete fatto qualche ricerca in internet, magari su un luogo che vi piacerebbe visitare, vi sarà capitato di imbattervi nella scritta che vi suggerisce un prodotto o un servizio… A volte azzeccato in pieno, a volte proprio no. Siamo nell’ambito dei recommender systems, sistemi informatici intelligenti che compiono tutta una serie di operazioni complesse riuscendo a personalizzare le ricerche. Con possibili effetti collaterali.

Francesco Ricci, preside della Facoltà di Scienze e Tecnologie informatiche di unibz, è uno dei massimi esperti mondiali di recommender systems. È coeditore di un manuale della materia (Recommender Systems Handbook – Editore Springer), un tomo che ricorda per spessore quelli di diritto, ed è caporedattore della rivista scientifica Information Technology & Tourism (Editore Springer). Così, capita che un tour operator inglese lo contatti per orientare le scelte dei turisti che ogni anno visitano una certa regione: clienti abituali, che tornano ogni anno, e che prenotano le vacanze via Internet. L’obiettivo è di suggerire soluzioni, ovvero destinazioni o alloggi, possibilmente personalizzate. Ed è proprio quest’ultimo aggettivo a definire il lavoro di questi sistemi intelligenti: esaminano le tante informazioni online, estraggono quelle rilevanti, utilizzano l’algoritmo giusto per collegare le molte interazioni e prevedono – o quanto meno ci provano – le preferenze dell’utente proponendo la soluzione migliore.

Nel settore turistico, i recommender systems spopolano e il perché è facile da capire. In Europa, nel 2015, al 52 per cento degli utenti di internet è capitato di acquistare online prodotti turistici (Eurostat – dati riferiti all’Europa a 28). Un trend in aumento. Il dato generale dice che ormai la maggior parte dei viaggi (55 per cento) dei residenti in Europa viene acquistata online. Non sorprende, perciò, che nelle statistiche Eurostat sull’uso delle ICT nel turismo si legga In terms of website functionalities, enterprises in the accommodation sector are significantly ahead of other sectors of the economy (In termini di funzionalità del sito internet, il settore alberghiero è significativamente avanti rispetto ad altri comparti economici).

In uno scenario simile, il business ruota intorno alla navigazione in Internet e alla capacità del sistema di individuare la vacanza giusta per ogni utente. E di conseguenza le aziende vanno alla ricerca degli scienziati più capaci di creare sistemi affidabili. E qui torniamo a Ricci, matematico di formazione, ai suoi algoritmi e all’Inghilterra. Gli algoritmi filtrano le tante proposte, basandosi, di fatto, sui movimenti virtuali di ognuno: viene tracciato ogni click e incasellato in una qualche categoria. L’esperto di recommender systems non fa altro che mettere in relazione tali categorie, cercando di estrapolarne un modello di comportamento… “La sfida”, dice Ricci, “è proprio quella di riuscire a prevedere al meglio alcune caratteristiche degli utenti, riuscendo a fornire un servizio il più simile possibile a quello di un agente di viaggio”.

Tutto ciò implica una serie di operazioni articolate, che mettono in campo processi di data mining, di information retrieval, di human- computer interaction, di machine learning… di per sé tutti ambiti singolarmente complessi dell’informatica (vedi box) e sviluppatisi intorno alle ricerche sull’intelligenza artificiale a partire dagli anni ottanta del secolo scorso. Ma i filtri dati da algoritmi non hanno a che vedere solo con il turismo. Google, Facebook, Twitter li utilizzano regolarmente e da tempo. Già nel 2011, Eli Pariser, uno dei massimi esperti di campagne online, nel suo libro The filter Bubble metteva in guardia sugli effetti distorsivi creati dai filtri. La personalizzazione implica una selezione algoritmica invisibile che crea una sorta di gabbia in cui non è l’utente a decidere cosa resta fuori dalla navigazione online, ma l’algoritmo. È quest’ultimo che finisce per gestire il flusso d’informazioni che vengono visualizzate. Pariser se ne è accorto perché – come racconta in un TED talk – erano scomparse dal suo profilo Facebook le notizie relative ai suoi amici conservatori. Cosa era successo Pariser lo spiega così: “Quello che ho scoperto è che Facebook prendeva nota dei siti che visitavo determinando che, effettivamente, visitavo maggiormente i siti dei miei amici liberali rispetto a quelli degli amici conservatori. E senza alcun preavviso li ha esclusi dal mio mondo”. Sono trascorsi cinque anni dalla denuncia di Pariser e nel frattempo filtri e sistemi sono stati sempre migliorati. “I filtri che vengono studiati da me e dal mio team”, argomenta Ricci, “sono in grado di massimizzare la varietà delle informazioni e delle opinioni. Inoltre, rendono esplicito all’utente il criterio utilizzato per selezionare le informazioni”.

Poiché nessuno – di fatto – è in grado di leggere tutte le notizie disponibili in internet, i filtri sono ineludibili. L’approdo allora non sta nel bandire i recommender systems, ma nel regolarne il loro uso (ove possibile), aumentando la trasparenza dell’algoritmo che governa il flusso d’informazioni. In questo modo, l’utente è in grado di scegliere non tanto quale informazione avere – che è materialmente impossibile – quanto di scegliere come le informazioni sono state selezionate apposta per lei/lui. Una sfida, del resto, ancora complessa. Come avviene di frequente, la principale difesa sta, forse, proprio nella consapevolezza dei limiti di un determinato strumento: Internet non è la realtà, ma una sua rappresentazione.

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